Storia dell'arte medievale
Alla scoperta della STORIA dell'ARTE
STORIA DELL'ARTE MEDIEVALE
Il Medievo: dalle catacombe alle grandi cattedrali
Catacombe paleocristiane di Priscilla



Basilica di S.Vittore in Arsago Seprio (provincia di Varese) Duomo di Milano


Struttura della chiesa romanica Struttura della chiesa gotica
Nel corso del medioevo, iniziato con lo sgretolamento dell'impero romano, nacquero in Europa nuovi stati. L'arte affronta i duri tempi della ricostruzione di un mondo distrutto dai travagli interni e dalle invasioni barbariche. Gli architetti dovettero progettare edifici in cui si potessero radunare i cristiani, che liberi di riunirsi pubblicamente dopo l'Editto di Costantino del 313 d.C, richiedevano luoghi di culto diversi da quelli delle epoche precedenti dove i soli sacerdoti celebravano all'interno dei templi i riti sacri, mentre il popolo rimaneva all'aperto. Le prime diffusioni delle dottrine cristiane erano avvenute in forma clandestina. Venne abbandonato l'uso della cremazione in favore della sepoltura per la fede nella resurrezione. Alle catacombe (cunicoli scavati nel tufo a qualche metro sotto terra, dove lungo le pareti si aprono loculi per il seppellimento delle salme) si aggiungono i cimiteri in superficie. Nacquero poi le prime Basiliche cristiane, la cui architettura ordinaria derivo' dalla fusione dell'atrio della casa romana con la pianta del tempio pagano. La pittura a mosaico si sviluppa in questo periodo, gli artisti cominciano a decorare le volte e le pareti delle basiliche e dei Battisteri con splendide figurazioni. Tra il secolo XI e il XIII in Europa e in Italia si verifico' un cambiamento radicale della societa': nuovi rapporti commerciali, attivita' economiche, artigianato, la societa' e' piu' forte perche' parzialmente svincolata dal potere assoluto dei feudatari, nascono le citta' come luogo entro il quale gli uomini scoprono un'altro modo di vivere e di cooperare. Nasce l'arte romanica e successivamente l'arte gotica.
Le strutture di un edificio romanico, richiedevano raccoglimento e immobilita', mentre i leggeri intrecci di una costruzione gotica, illuminati da fasci di luce colorata spingevano l'osservatore, il cui sguardo era attirato verso l'alto a continui spostamenti nella curiosa ricerca di sempre nuove visuali. La scultura a forte rilievo sui portali delle chiese romaniche con pulpiti e capitelli denunciava espressioni di forza e austerita', mentre nello stile gotico la scultura si rifletteva in snelle figure di angeli e santi che scandivano lo slancio verticale delle strutture.
Riguardo all'arte romanica (X- XI sec.), la componente che piu' caratterizza l'edificio religioso e' sicuramente il peso, la "gravitas". I muri sono molto spessi e le strutture massicce, poche e strette le aperture, vi e' il predomio dell'ombra, gli archi sono a tutto sesto. Le piante delle chiese sono rigorosamente geometriche e simmetriche, testimonianza della perfezione divina. Il Romanico e' uno stile severo denuncia la sottomissione dell'uomo a Dio e rappresenta un grande sentimento religioso, mentre lo stile gotico cerca un ricongiungimento a Dio attraverso sempre una maggiore verticalita'. Tali costruzioni sorgono lungo le vie di pellegrinaggio.
La cattedrale gotica sara' una costruzione ad alta tecnologia, che risolvera' il problema della statica dell'edificio concentrando i pesi e le spinte sulle nervature di sostegno, anziche' sull'intero corpo della parete. Gli archi diventano a sesto acuto, vengono create volte ogivali, cuspidi e guglie, contrafforti e archi rampanti, altissime torri, rosoni e vetrate istoriate narrano i fatti dell'Antico e del Nuovo Testamento. In Italia il Gotico (XII-XIII sec.) e' accettato con moderazione, poiche' la tradizione classica, paleocristiana e bizantina si oppone all'annullamento della massa muraria. Malgrado l'uso di archi ogivali, non vi e' ne' il dinamismo, ne' la luminosita' delle grandi cattedrali francesi.
Il cantiere delle grandi cattedrali medievali era formato da una comunita' di lavoratori, guidati da un "magister operis" (capo lavori) che dirigeva le maestranze e provvedeva i materiali, e da un "magister lapidum" (capo degli scultori) responsabile degli ornamenti in pietra. Sovente la costruzione di una Cattedrale continuava per secoli, le maestranze rimanevano spesso alle dipendenze dell'opera del Duomo per tutta la vita e anche per successive generazioni. La citta' e gli edifici pubblici risorsero nel Medioevo con un duro sforzo di lavoro comune.
Il Medioevo: nasce la pittura italiana

Duccio da Buoninsegna Maesta
Dopo il 1200 gli ambienti si aprirono alla luce e favorirono, specialmente in Italia, il fiorire e il diffondersi della pittura su parete. Anche se nelle epoche precedenti non mancano esempi di scene sacre rappresentate ad affresco, o su tavole di legno, le composizioni di ampli cicli pittorici su parete divengono il piu' comune mezzo espressivo alla fine del Medioevo. Le comunita' di scalpellini e mosaicisti del primo Medioevo erano certo state guidate da artisti di valore i cui nomi pero' secondo l'uso del tempo non ci furono tramandati. Il secolo XIV vide l'affermarsi di grandi personalita', sia nelle lettere, sia nelle arti. Mentre Dante, Petrarca e Boccaccio componevano capolavori letterari, Cimabue e Giotto collocarono la pittura in primo piano fra le arti figurative. Questi grandi artisti non piu' anonimi aprirono la strada alle splendide realizzazioni di quella che sarà l'epoca piu' nota della pittura italiana: il Rinascimento.
La pittura del Trecento italiano e' quindi dominata da Giotto, nella cui arte acquista valore la massa resa mediante la linea e il chiaroscuro, mentre della pittura senese il piu' tipico rappresentante e' Simone Martini insieme anche ai fratelli Ambrogio e Pietro Lorenzetti. La loro e' una pittura che guarda anche ai modelli d'oltralpe, caratterizzata da eleganza e raffinatezza.
Gli elementi che comunque caratterizzano la pittura medievale sono generalmente le figurazioni stereotipate, ieratiche e statiche, mentre il fondo della tavola dipinta è a foglia d’oro per richiamare la luce e l’eternità. La pittura tardo gotica è contraddistinta da una linea agitata, da un naturalismo e un realismo minuto capaci di trasportarci in un mondo da favola.
APPROFONDIMENT0
La nascita della pittura italiana
Giotto
La cattura di Cristo
Cappella degli Scrovegni
Padova

Mentre la rinascita dell’architettura avviene a partire dall’anno mille, bisogna aspettare ancora qualche secolo prima che un analogo fenomeno interessi le arti figurative. Durante il periodo romanico anche la pittura e la scultura conoscono una più intensa produzione, e ciò soprattutto per la decorazione delle cattedrali, ma non conoscono un reale rinnovamento stilistico. Le immagini appaiono bloccate in forme stereotipe, realizzate con povertà di mezzi espressivi. Le sculture, sempre a bassorilievo, hanno figure rigide e geometrizzate. Sia in pittura che in scultura è del tutto sconosciuto il problema della visione in profondità: le figure che animano una scena sono poste su un unico piano di rappresentazione, con evidenti effetti di sproporzione e di irrazionalità spaziale.
Di fatto, in questo periodo, il maggiore centro di irradiazione artistica rimane sempre Bisanzio, e da lì il gusto dell’icone dorate pervade ancora l’Europa occidentale. L’avvio di un’arte figurativa di reale ispirazione europea inizia proprio quando si avverte la necessità di superare gli stilemi figurativi bizantini. Ciò avviene a partire dal XIII secolo in poi, in due aree geografiche precise: l’Italia centrale e la Francia.
In Italia il problema di superare l’arte bizantina viene impostato sul ritorno al naturalismo e alla razionalità terrena della visione, in opposizione al misticismo antinaturalistico bizantino. In Francia, il superamento avviene sul piano della significazione: non più un’arte di ispirazione religiosa che rimandasse ad un ordine teocratico delle cose, ma un’arte laica che esprimesse i nuovi ideali cavallereschi dell’Europa cortese.
Sul piano stilistico le differenze tra arte italiana e arte francese, o gotica, sono notevolissime. La prima imbocca decisamente la strada della tridimensionalità, per giungere a quella rappresentazione del reale che sia in armonia con i reali fenomeni della visione umana. La seconda si mantiene invece sul piano di una concezione antinaturalistica dell’arte, dove alla razionalità della rappresentazione viene preferito l’effetto decorativo delle linee curve e dei colori vivaci. Tuttavia l’arte figurativa sia gotica che italiana mostrano, nel corso del XIII e XIV secolo, una identica destinazione: entrambe sono realizzate come decorazione o arredo degli edifici architettonici, in particolare edifici religiosi: chiese, cattedrali, monasteri, pievi, ecc. E questa particolare subalternità delle arti figurative all’architettura determinò una precisa differenziazione tipologica tra arte italiana e arte gotica. L’edificio gotico ha uno scheletro strutturale di tipo lineare che riesce a liberare ampie superfici da destinare a vetrate. In tali edifici, ridottisi le superfici murarie, l’affresco divenne impraticabile: nacquero così le vetrate istoriate. Le immagini furono realizzate in vetri dai colori vivaci connessi tra loro da sottile piombature, e collocate nei vani delle finestre. In Italia questa rigida concezione strutturale del gotico non ebbe mai ampia diffusione, così che l’architettura praticata in quei secoli offrì sempre ai pittori ampie superfici murarie su cui era possibile intervenire con la classica tecnica della pittura ad affresco.
In un primo momento fu l’arte gotica a egemonizzare il panorama artistico europeo, e ciò fino alla metà del XV secolo. In seguito, con lo sviluppo del Rinascimento, fu invece l’arte italiana ad imporre la propria visione artistica all’intero mondo occidentale. Ma l’arte italiana non iniziò con il Rinascimento, bensì soprattutto nella parte centrale della nostra penisola, prese l’avvio già alla metà del XIII secolo. In questa lunga fase di sperimentazione ed elaborazione, durata circa due secoli, si definisce una vera e propria arte «nazionale» italiana, così come stava avvenendo nel campo linguistico con la nascita della lingua italiana. Ed è proprio la concordanza di questo percorso culturale, più che politico (visto che l’Italia troverà la sua unità statale solo diversi secoli dopo), a far sì che questa stagione artistica deve essere definita come epoca della nascita dell’«arte italiana».
Tema fondamentale per ritrovare una autonoma vocazione artistica, che rendesse l’arte italiana diversa sia da quella gotica sia da quella bizantina, fu lo studio dell’arte antica. Le passate grandezze dell’arte romana mostravano sempre più non solo la superiorità dell’arte classica rispetto a quella medievale, ma indicavano chiaramente la differenza tra l’arte occidentale e quella bizantina. In particolare la prima ha tre fondamenti che all’arte bizantina sono sconosciuti: il naturalismo, il senso della bellezza terrena, il gusto per la narrazione. Ed è proprio partendo da questi tre parametri che l’arte italiana iniziò il suo percorso di affrancamento rispetto all’arte bizantina.
Diverso è anche il percorso stilistico rispetto all’arte gotica. Quest’ultima trovava nell’intreccio lineare e sinuoso, nonché nelle accese cromie, il suo senso estetico, privo però di componenti naturalistiche e tridimensionali. L’arte gotica era tesa alla ricerca di una raffinata eleganza che sapesse di fiabesco e affabulatorio, ma restava priva di costruzione razionale sia della figura sia dello spazio. L’arte italiana ha invece tutt’altro intento: essa cerca la verità ottica più razionale. La costruzione dell’immagine non vuole creare mondi fiabeschi, ma riprodurre il più esattamente possibile il nostro mondo terreno, secondo le leggi fisiche, ottiche e tattili, che lo governano.
La nuova scultura italiana

Benedetto Antelami
Mese di settembre La vendemmia
Battistero Parma
La nuova arte italiana, si formò soprattutto in area toscana e umbra. Ma i prodromi di questa nuova visione artistica ebbero origine su un’area più vasta che coinvolgeva soprattutto l’Italia meridionale. Qui, infatti, durante la dominazione di Federico II, si avviarono molti cantieri artistici, nei quali la sperimentazione di un linguaggio più naturalistico ispirato ai capolavori dell’arte classica avvenne con maggior intensità e consapevolezza.
La scomparsa di Federico II nel 1250, provocò forse una diaspora di artisti che dal meridione si spostarono nell’Italia centrale in cerca di nuovi committenti. Tra questi ci fu probabilmente il maggior protagonista della scultura intorno alla metà del Duecento: Nicola Pisano, il quale a dispetto del nome, forse attribuitogli in seguito, era di documentate origini pugliesi.
La sua presenza a Pisa, a partire dal 1250, permise la nascita di una nuova tendenza scultorea che fornì una componente fondamentale alla nuova arte italiana che si formava in quegli anni.
Egli è il capostipite di una tradizione scultorea che vede, nel corso del Duecento e del Trecento notevoli protagonisti, quali il figlio Giovanni Pisano, Arnolfo di Cambio, Tino di Caimano, Andrea Pisano, ecc, anche se gli esiti scultorei di questi successori sono alquanto diversi dal linguaggio plastico di Nicola.
Soprattutto per la scultura, il percorso di rinnovamento è segnato dallo studio dell’arte classica. In particolare, dallo studio degli antichi bassorilievi romani (sarcofagi, archi trionfali, are votive, colonne istoriate, ecc.), trassero indicazioni per il recupero dei volumi e dello spazio. In sostanza le figure prendono una forma più volumetrica, più piena e tornita, e queste stesse figure si pongono su una successione di piani, che riescono a scandire e misurare lo spazio in profondità. In sostanza, così come avveniva in pittura, vi era da conquistare la terza dimensione virtuale, quella che riesce a sfondare visivamente il piano di rappresentazione per darci l’illusione visiva di vedere in profondità.
Il senso di salda volumetria delle figure, proprie del linguaggio di Nicola Pisano, subì in seguito una più decisa contaminazione con lo stile gotico, avvertibile nell’opera del figlio Giovanni e degli altri scultori che da lui presero esempio nel corso del Trecento. Del resto l’arte gotica, soprattutto in Francia e Germania, conosceva una evoluzione nel campo scultoreo di grande forza espressiva. Caratteri peculiari delle sculture gotiche erano un certo espressionismo «patetico» ed una forma compositiva che accentuava l’inarcamento laterale delle figure, o un loro tendenziale avvitamento sull’asse verticale, così da trasmettere una sensazione di movimento che attenuava la rigidità statuaria delle figure. Queste suggestioni della scultura gotica produssero una decisa influenza anche sulla scultura italiana del Trecento, che si presentò quindi come una originale sintesi tra saldezza monumentale tipica del classicismo romano ed espressionismo della figura di matrice nordica.
Il rinnovamento del linguaggio pittorico
Il linguaggio pittorico, agli inizi del Duecento, si presenta in Italia ancora condizionato dall’arte bizantina e dai suoi immutabili parametri stilistici. Immagini ancora di diafana costruzione, cariche di colore oro usato sia per i fondali sia per le caratteristiche lumeggiature lineari. Il primo tentativo di distaccarsi da questa tradizione, o comunque di andare oltre, fu di inserire fondali vedutistici al posto dei fondi dorati privi di profondità. Ma le figure rimasero senza peso e si disponevano con assoluta libertà su fondali con i quali non avevano alcun rapporto visivo plausibile.
In sintesi il problema era abbastanza semplice: come dare apparenza di tridimensionalità a ciò che ha solo due dimensioni. L’immagine costruita su un piano, sia esso un foglio o un muro, ha sempre e solo due dimensioni reali. Una terza dimensione, che sfonda il piano in profondità dandoci l’illusione di vedere oltre il limite fisico del piano, può essere creata solo con la sapienza tecnica. Questa sapienza si basa su due tecniche fondamentali: i corpi prendono aspetto tridimensionale con il chiaroscuro, lo spazio ci appare tridimensionale se è costruito con la prospettiva.
La scoperta della prospettiva avviene solo agli inizi del Quattrocento, e la sua comparsa segna in maniera inequivocabile l’inizio di quella nuova stagione artistica che chiamiamo Rinascimento. Il chiaroscuro, invece, viene compreso ed applicato già in questa fase, alla metà del Duecento, ed è il parametro stilistico che immediatamente distingue l’arte italiana dall’arte bizantina e dall’arte gotica.
Ma ovviamente sarebbe estremamente riduttivo ridurre tutto al semplice chiaroscuro. La pittura italiana è un laboratorio di grande sperimentazione nei quali sono da conquistare molti traguardi. La figura umana viene finalmente svincolata dalla posizione frontale, che finora ha dominato incontrastata in campo pittorico, e viene rappresentata di lato, di profilo, anche di scorcio. Inoltre la figura umana acquista finalmente un peso, poggiando i piedi su un piano orizzontale di plausibile costruzione. Il fatto stesso che i pittori riescono a costruire dei piani visivi orizzontali, anche se in maniera spesso imperfetta, è una grande conquista tecnica.
La conquista dello spazio, in assenza di una prospettiva lineare con precise regole geometriche, viene surrogata da una costruzione per scansione di piani, che spesso riesce a creare una sensazione di profondità abbastanza plausibile.
Notevole è anche il senso di umanizzazione delle figure, che mostrano spesso una espressività facciale assolutamente inedita nell’arte medievale. Divengono persone con una psicologia reale che fa emergere sui loro visi emozioni e sentimenti decisamente umani. Scompaiono quindi definitivamente le espressioni ieratiche sempre presenti in tutta l’arte medievale e bizantina.
Decisamente inedito è anche il senso narrativo dell’immagine. Le storie rappresentate hanno sempre precise coordinate storico-temporali, anche quando confondono le epoche e riportano le storie sacre al tempo presente, ma ciò che più conta è l’originale tecnica della sequenza narrativa. Le composizioni pittoriche, sia quando sono su parete sia quando sono su tavola, non sono mai costituite da un’immagine unica, ma sempre da una pluralità di immagini, che, come fotogrammi di un film, svolgono una narrazione secondo una progressione temporale ben scandita. È così forte questo senso della narrazione che in alcuni casi, soprattutto trecenteschi, ci troviamo di fronte alla soluzione decisamente originale, delle immagini «sincroniche»: in’unica scena si moltiplicano più volte gli stessi personaggi creando una progressione narrativa che contrasta in maniera stridente con l’unicità spazio-temporale dell’immagine singola.
Il problema di chi siano stati i maggiori protagonisti di questo rinnovamento pittorico è ancora aperto. La scomparsa di molte opere, nonché di molte fonti documentarie, ha creato degli equivoci che ancora oggi sono di difficile valutazione. Il problema è di chiarire che peso e che ruolo hanno avuto da un lato la scuola fiorentina, con Giotto e Cimabue, e dall’altro la scuola romana con Pietro Cavallini, Jacopo Torriti e Filippo Rusuti. Questi cinque artisti hanno tutti lavorato nel cantiere di Assisi, alla fine del Duecento, alla decorazione del complesso monumentale della chiesa superiore di San Francesco, ma quali siano stati ruoli e rapporti reciproci ci è ignoto. La tradizione storiografica vuole che il maggior protagonista, nonché il maggiore innovatore, di questa realizzazione pittorica fu Giotto di Bondone. Ma si tratta di una tradizione di parte che risale al Vasari e alle sue «Vite» composte nel 1550. Giorgio Vasari con la sua opera storiografica voleva dimostrare che la grande arte italiana era nata soprattutto grazie ad artisti fiorentini, con un filo unico che partiva da Giotto e attraverso Masaccio, Brunelleschi, Donatello, Botticelli, Leonardo arrivava fino a Michelangelo Buonarroti, il massimo genio artistico allora vivente. In questo suo disegno storiografico «a tesi», egli finiva quindi per sopravvalutare il peso di Giotto rispetto ai suoi contemporanei. Forse questo nuovo linguaggio aveva avuto la sua prima apparizione già in ambiente romano negli ultimi decenni del Duecento.
Il gotico senese
L’ambiente fiorentino, e quello toscano in genere, si mostrò comunque il più fertile per la nuova arte che sorgeva in quegli anni, e in ciò non bisogna dimenticare l’importante apporto che venne anche dalla città di Siena. Gli artisti che qui operarono, Duccio da Boninsegna, Simone Martini, i fratelli Lorenzetti, insieme a molti altri, contribuirono in maniera determinante a definire la nuova pittura italiana.
A Siena si affermò, al contrario di Firenze, una visione artistica che la avvicinava maggiormente alla Francia e allo stile gotico. In pratica qui domina una pittura legata più agli effetti di superficie, su accordi di linee e colori, che non di masse volumetriche inserite in uno spazio realmente dimensionale. Il percorso dell’arte senese parte, alla fine del Duecento, con la comparsa della grande personalità di Duccio da Boninsegna, che si muove in linguaggio pittorico in bilico tra arte bizantina e nuova arte gotica. In una città quanto mai ricca di artisti ed artigiani, ben presto emergono altre figure di forte personalità. Tra questi il primo è di certo Simone Martini, l’artista che, agli inizi del Trecento, si afferma come la più forte alternativa allo stile giottesco. In Simone Martini i mezzi espressivi gotici (la linea sinuosa e ritmica e la preziosa gamma cromatica) raggiungono il massimo delle possibilità, creando uno stile esente da necessità spaziali, ma molto ricco di eleganze e raffinatezze.
Ma dall’ambiente senese ben presto emergono, soprattutto intorno al quarto decennio del Trecento due personalità di grande valore artistico, i fratelli Pietro e Ambrogio Lorenzetti, che possono essere considerati i veri eredi del rinnovamento pittorico iniziato da Giotto. La loro pittura riesce a coniugare l’eleganza tipica del gotico senese con una costruzione volumetrica e spaziale che in quegli anni era decisamente all’avanguardia nel panorama artistico italiano. La loro scomparsa durante la grande epidemia di Peste Nera che sconvolse l’intera Europa a partire dal 1348 è sintomatica di una svolta storica che ha avuto grandi riflessi anche nell’arte. La loro scomparsa privò l’Italia di due grandi protagonisti della nuova pittura che sorgeva in Italia, ma segnò anche il tramonto di Siena sulla scena artistica italiana, in quanto la città toscana, dopo la decimazione subita da questa epidemia, non ritornò più agli splendori e alle vette artistiche che aveva raggiunto nella prima metà del Trecento.
Con la scomparsa dei Lorenzetti, scomparve, ma solo momentaneamente, anche la tradizione più propriamente italiana, inaugurata da Cimabue, Cavallini e proseguita da Giotto e dai suoi seguaci. Nella seconda metà del Trecento furono gli artisti gotici ad imporre nuovamente la loro visione artistica, basata sulle linee curve e leziose, realizzata con colori puri stesi a campiture uniformi, dove prevaleva la evocazione fantastica di un mondo fatato e magico che tanto successo riscuoteva nell’ambito di quelle corti europee che vivevano l’autunno del medioevo.
Differenza tra arte italiana e arte gotica Tardo Gotico
Nel corso di un secolo, dalla metà del ’200 alla metà del ’300, si era definita in Italia una nuova concezione artistica che era nata soprattutto in opposizione allo stile bizantino. Rispetto a questo stile, l’arte praticata dagli artisti italiani ricerca il naturalismo e la razionalità: le forme e le immagini devono somigliare il più possibile alla realtà. Devono in pratica creare l’illusione di far vedere la realtà stessa. Per far ciò, il problema, soprattutto per i pittori, è di creare sul piano bidimensionale l’illusione visiva della tridimensionalità. Le tecniche per ottenere ciò sono soprattutto due: il chiaroscuro, per definire la tridimensionalità dei volumi, e la prospettiva, per costruire lo spazio. In questa fase il chiaroscuro è una realtà già conquistata, la prospettiva ancora no. Ma le ricerche per giungere alla definizione di un metodo "matematico" per definire lo spazio erano state, in effetti, avviate. In pratica artisti quali Giotto o i fratelli Lorenzetti, avevano già gettato le basi, seppure in maniera empirica, per comprendere il funzionamento della rappresentazione dello spazio.
Mentre l’arte italiana era lanciata su questo percorso, un’altra visione artistica, quella gotica, si stava nel frattempo diffondendo in Europa. Anch’essa nasce come un’alternativa all’arte bizantina, ma rispetto all’arte che si stava formando in Italia, aveva ben altri fondamenti. L’arte gotica non cerca il naturalismo, ma la decorazione. Non vuole essere a tutti i costi razionale, ma preferisce le atmosfere fiabesche. Potremmo dire che mentre l’arte italiana vuole "rappresentare" la realtà, nel modo più corretto possibile, l’arte gotica preferisce "raccontare" storie.
Da un punto di vista stilistico, le differenze tra arte italiana e arte gotica sono essenzialmente le seguenti.
• Nell’arte gotica non vi è il chiaroscuro, se non limitatamente ai volti, mentre per le vesti si preferisce una ricca e arabescata decorazione: in questo modo l’obiettivo del naturalismo viene completamente sacrificato per un effetto decorativo più ricco e prezioso.
• Nell’arte gotica non vi è preoccupazione per la corretta rappresentazione spaziale, e le immagini vengono essenzialmente organizzate solo sul piano di rappresentazione, e non in una plausibile spazialità tridimensionale.
• Nell’arte gotica, inoltre, troviamo una predilezione evidente per l’uso della linea: quest’arte sembra pratica più da disegnatori che da pittori veri e propri. Le immagini sono sempre costruite in punta di pennello, con intrecci e tratteggi lineari di alto valore decorativo.
• Da aggiungere, infine, la predilezione per la linea curva, che è uno dei tratti stilistici sicuramente più universali dell’arte gotica. Curve intrecciate, spirali, avvitamenti, sono tratti stilistici che ritroviamo nella morfologia più varia del gotico, dalla pittura alla miniatura, dall’architettura alla scultura.
Nel corso del XIV secolo, l’arte bizantina tende quasi a scomparire nell’Europa occidentale, resistendo solo in alcune situazioni periferiche. Le novità artistiche che si diffondono sono soprattutto due: l’arte italiana e l’arte gotica. La prima, in questa fase, è in effetti presente quasi solo nell’Italia centrale e, parzialmente, nell’area padana. L’arte gotica ha invece una diffusione sicuramente più continentale. E questo predominio territoriale diviene supremazia soprattutto nel corso della seconda metà del Trecento: in questo periodo, in effetti, l’arte italiana viene quasi eclissata dal dilagare del gusto artistico gotico.
Ma in realtà è solo un fatto momentaneo: a partire dagli inizi del XV secolo, la nascita di quel vasto fenomeno artistico che chiamiamo Rinascimento, e che altro non è se non il frutto più maturo di quell’arte italiana nata a cavallo tra XIII e XIV secolo, porta l’arte europea tutta sotto l’egemonia della visione artistica italiana.
La peste nera
Le cause della momentanea crisi dell’arte italiana, dopo la metà del Trecento, sono state ricercate in più ipotesi. Una delle più attendibili è quella di ritenere che fu soprattutto la Peste Nera, che si diffuse a partire dal 1348, a mettere in crisi lo sviluppo artistico italiano. Questa famosa e terribile epidemia fu portata in Europa da una nave bizantina che approdò a Messina. Da qui il contagio, in brevissimo tempo, si diffuse in tutto il continente, e la Toscana, in particolare, fu un’area che risentì molto della diffusione del morbo. La popolazione fu letteralmente decimata: si calcola che la città di Firenze, che agli inizi del Trecento doveva avere non meno di centomila abitanti, alla fine del secolo era abitata da meno di ventimila persone. Questo improvviso calo demografico fu ovviamente causa di una crisi più generale del settore economico e produttivo: ovvio che anche l’arte, in questo contesto, conobbe momenti di crisi. Non è inoltre da escludere che molti dei protagonisti della scena artistica toscana furono anch’essi colpiti dal contagio: dei due fratelli Lorenzetti, ad esempio, si perde ogni notizia proprio a partire dal 1348.
Nella situazione che si venne a creare, le ricerche sul naturalismo avviate dagli artisti italiani nella prima metà del Trecento conobbero una sostanziale stasi. Solo pochi ed isolati artisti sembrano seguire ancora le orme di Giotto, e ciò avvenne soprattutto dove gli esempi della sua arte sono presenti e visibili, in particolare a Firenze e Padova. Nella città toscana seguono lo stile giottesco Maso di Banco, Taddeo Gaddi, Bernardo Daddi e il Giottino. Nella città veneta, risente dello stile di Giotto, il pittore Giusto dei Menabuoi.
Il gotico internazionale in Italia
Mese di settembre Les Très Riches Heures du duc de Berry

Intanto la diffusione del gotico sembra non conoscere confini. In questo periodo che va dalla metà del Trecento alla metà del Quattrocento, spesso si usano terminologie diverse per indicare l’ultima fase stilistica del gotico. "Tardo gotico", "gotico internazionale" o "gotico fiorito" sono i tre termini più utilizzati per indicare questo periodo. Il primo termine è di facile comprensione. Anche il secondo si comprende facilmente dalla circostanza che il gotico, in questo secolo, è davvero uno stile che egemonizza tutta la scena europea. Con il termine "gotico fiorito", usato spesso in architettura, si vuole denotare in particolare la tendenza a moltiplicare le nervature che definivano le membrature architettoniche che sorreggevano una volta, fino a creare un arabesco che ha solo valenze decorative e non certo strutturali.
Diverse sono le personalità artistiche attive in questo periodo in Italia, la cui definizione stilistica è a volte non semplice, perché molti rimangono sul confine tra uno stile che non è né pienamente gotico né pienamente italiano o rinascimentale. Premesso quindi che in Italia, anche il gotico internazionale, rimane uno stile diverso dal resto dell’Europa, anche gli artisti del periodo partecipano di quel clima che porta poi alla nascita del rinascimento. In particolare anche in essi si ritrova, spesso, il gusto per l’osservazione del reale e la conseguente ricerca del naturalismo: anche se ciò si applica più ai dettagli e ai particolari, che non alla visione complessiva d’insieme. Anche in questi artisti, poi, si ritrova il confronto con la cultura classica, che rimane una costante di tutta l’arte italiana dal Duecento in poi. Ne è un esempio famoso proprio Pisanello, artista decisamente tardo gotico, il quale inventa il ritratto all’italiana partendo proprio dal gusto numismatico molto diffuso al tempo: sono proprio le monete e le medaglie romane a consegnarci gli esempi più famosi di ritratto nettamente di profilo.
Caso a parte sono poi alcuni scultori, in particolare Jacopo della Quercia e Lorenzo Ghiberti, la cui collocazione nell’area del tardo gotico appare molto problematica: le loro opere hanno caratteristiche così "classiche" che, forse, sarebbe più giusto definirli dei proto-rinascimentali. Ciò, quindi, a specificare che il periodo è soprattutto di transizione, e come spesso succede in questi casi, la notevole eterogeneità stilistica non consente di poter semplificare eccessivamente l’arte del tempo in un’unica formula valida per tutti.
Questa ambiguità stilistica, con compresenza di elementi spuri sia tardo gotici sia rinascimentali, si ritrova del resto in moltissimi artisti del Quattrocento italiano, anche in quelli che la tradizione definisce come del tutto rinascimentali, quali Paolo Uccello, Filippo Lippi, Cosmé Tura, Carlo Crivelli o Sandro Botticelli. Proprio quest’ultimo artista, rinascimentale sicuramente per l’impianto complessivo della sua opera, ci dimostra come, alla fine del Quattrocento, sopravvivono ancora elementi di tradizione tardo gotica quali il gusto calligrafico per il dettaglio risolto con elementi lineari.
L’arte tardo gotica è un’arte che si diffonde soprattutto nelle corti europee: è l’età dei castelli, che non hanno più solo funzioni militari sul territorio, ma assumono sempre più l’aspetto di grandi e lussuose residenze nobiliari. In queste corti l’arte ha un pubblico essenzialmente laico: è costituito dai nobili, cavalieri e dame, protagonisti e fruitori di quel mondo cavalleresco, e dell’amor cortese, che si ritrova nella letteratura e nell’arte del tempo. In effetti, dopo la scomparsa dell’impero romano e dell’arte classica, è questo il primo vero periodo artistico "laico" dell’arte europea, laico non tanto per i contenuti, ma soprattutto per il pubblico al quale si rivolge. L’arte esce fuori dalle chiese e compare negli spazi privati dei nobili e della emergente borghesia cittadina. Ed anche le tipologie degli oggetti d’arte tende a cambiare: non più solo affreschi o statue, la cui funzione rimane essenzialmente legata a quella degli spazi pubblici, ma l’arte tende a manifestarsi soprattutto nei gioielli, negli arazzi, nei libri miniati, in quegli oggetti, cioè, che costituiscono i patrimoni privati.
Il tardo gotico in Italia trova, come centri più vitali, quelli collocati in area settentrionale, soprattutto nel periodo della seconda metà del Trecento. In quest’area si trovano le città che hanno, in questo momento, la maggiore floridezza economica e culturale, quali Bologna, sede della più antica università italiana, Venezia, con la sua repubblica che si estende su buona parte dell’Adriatico e del Mediterraneo orientale, o le grandi corti quali Milano con i Visconti o Verona con i Della Scala. Il resto dell’Italia, nella seconda metà del Trecento, non vive invece una situazione favorevole all’arte. In Toscana gli effetti della peste nera hanno prodotto una crisi che perdurerà per buona parte del periodo. Roma vive un periodo di abbandono, per effetto del trasferimento della sede papale ad Avignone. Il papa farà ritorno a Roma nel 1377, in una città che richiese una profonda opera di rinnovamento urbano, i cui segni si cominciano a manifestare in campo artistico solo nella prima metà del XV secolo. A Napoli e nell’Italia meridionale la situazione di grande incertezza politica, dovuta alla travagliata fine della dinastia angioina, pure produsse effetti negativi sul piano dell’arte, che iniziò anche qui a rinascere solo intorno alla metà del XV secolo con l’affermarsi della dinastia aragonese.
La scomparsa del tardo gotico in Italia ha avuto date molto differenziate. Avvenne prima in Toscana, perché qui si affermò, prima che altrove, la nuova arte rinascimentale. E la maggior distanza da Firenze, il baricentro dal quale si irradia la nuova arte, determina anche la maggiore durata dell’arte tardo gotica. In sostanza, in molte aree italiane, soprattutto quelle più periferiche, l’arte tardo gotica a volte sopravvive anche fino alla fine del XV secolo, per essere infine sostituita dall’arte rinascimentale che, nel corso del XVI secolo diverrà lo stile artistico dell’intera Europa.
Arte Fiamminga

Jan Van Eyck
I coniugi ArnolfiniL’arte europea, agli inizi del XV secolo, parla in maniera univoca un unico linguaggio artistico: quello dell’arte tardo gotica. Ma fermenti di novità sono chiaramente all’orizzonte, e si concentrano soprattutto in due aree geografiche precise: la Toscana e le Fiandre. In Toscana, come è noto, si sviluppò quell’arte che noi oggi definiamo «rinascimentale». Nelle Fiandre (termine con cui, spesso, genericamente indichiamo una vasta area geografica che comprende buona parte dell’attuale Belgio e Olanda) si sviluppò negli stessi anni un’arte, che oggi chiamiamo «fiamminga», destinata anch’essa a conoscere un’ampia fortuna e ad influenzare profondamente il resto dell’arte europea successiva.
In sintesi, come si era verificato un secolo prima, abbiamo un’arte di tradizione, che egemonizza il panorama artistico, e due nuove proposte che si sviluppano tra l’Italia e i paesi transalpini. Agli inizi del Trecento a monopolizzare la scena era stata l’arte bizantina, con la sua quasi millenaria tradizione che aveva attraversato tutto il medioevo, mentre due nuovi stili sorgevano a ringiovanire la visione estetica: l’arte italiana (quella di Giotto, dei Pisano, di Cavallini, dei Lorenzetti), e quella gotica.
Agli inizi del Quattrocento la situazione è quasi analoga, solo che questa volta l’arte che monopolizza la scena è quella gotica, mentre le nuove proposte stilistiche vengono dall’arte fiamminga e da quella rinascimentale. Nel corso del Quattrocento sarà sempre più l’arte italiana rinascimentale a diffondersi in Europa e, alla fine del secolo, sarà proprio il Rinascimento ad imporsi come nuovo linguaggio artistico europeo.
Le differenze tra arte rinascimentale e fiamminga sono molte, ma è da evidenziarne una immediatamente: mentre l’arte rinascimentale rivoluzionò un po’ tutte le arti (architettura, pittura, scultura e le arti una volta definite minori) le novità dell’arte fiamminga riguardarono esclusivamente la pittura. Un’altra differenza sostanziale è che l’arte rinascimentale ebbe una portata molto più rivoluzionaria, in quanto impostò una nuova visione artistica autenticamente moderna, e per questo ebbe alla fine ragione di altri stili artistici, mentre l’arte fiamminga in fondo va vista soprattutto come un’evoluzione dell’arte tardo gotica, evoluzione tesa a conquistare un maggior naturalismo, ma che sostanzialmente non metteva in crisi un’arte che era ancora espressione di un mondo basato su principi e valori propri del medioevo europeo.
Molteplici sono stati i protagonisti dell’arte fiamminga. Tra di essi il più noto è sicuramente Jan Van Eyck, e che dalla tradizione storiografica era indicato come l’inventore di questo nuovo movimento artistico. Oggi le nostre conoscenze ci permettono di affermare che, in realtà, a far nascere il nuovo stile contribuì in maniera determinante un altro artista, la cui personalità appare non sempre ben definita: Robert Campin. Questo è il nome che attualmente viene riconosciuto all’artista più noto con il nome convenzionale di Maestro di Flémalle. Oltre questi due artisti, l’arte fiamminga conobbe straordinari interpreti per tutto il XV secolo: Petrus Christus, Roger Van der Weyden, Hans Memling, Giusto di Gand e Hugo Van der Goes, solo per citare i più noti. Da segnalare che questi ultimi due pittori, e Roger Van der Weyden, furono attivi anche in Italia, producendo influenze notevoli sullo stesso sviluppo dell’arte rinascimentale. Ma le influenze non furono a senso unico. Anzi, il contatto con l’arte italiana determinò una svolta radicale nell’arte fiamminga nel passaggio dal XV al XVI secolo, restandone segnata da un gusto classico di chiara impronta italianizzante. Ne restarono immuni solo due artisti tra i più originali, dell’intera scuola fiamminga: Hieronymus Bosch (attivo tra fine Quattrocento e primi anni del Cinquecento) e Pieter Brueghel (attivo alla metà del Cinquecento). La loro visione fantastica e inquietante, a volte grottesca a volte popolaresca, parlavano una lingua pittorica assolutamente originale che, recuperando filoni più popolareschi della tradizione nordica e tedesca, giunse a risultati completamenti diversi rispetto alla tradizione stessa inaugurata dalla tradizione fiamminga dei primi decenni del XV secolo.
La pittura ad olio
Secondo la tradizione, i pittori fiamminghi, e in particolare Jan Van Eyck, furono gli inventori della pittura ad olio. In realtà la tecnica di utilizzare oli essenziali quali veicolanti era già nota nell’antichità, ed era limitatamente utilizzata anche nel medioevo. Possiamo però ritenere che la vera rivoluzione che essi apportarono non fu tanto nella composizione dei colori, quanto nella tecnica di stesura: con i pittori fiamminghi si elevò a sommo grado la tecnica della velatura.
Quando si stende un colore su una superficie, in realtà non si fa altro che porre una pellicola su un piano che, generalmente, in partenza è bianco. Questa pellicola, alla fine, copre la superficie bianca, dandole il colore che l’artista intende rappresentare. La differenza tra le tecniche pittoriche è che alcune, già alla prima pennellata, danno una pellicola interamente coprente, altre danno invece una pellicola semi-trasparente. In questo secondo caso, la pennellata viene chiamata appunto «velatura». Con le velature il pittore ha delle possibilità in più: può trovare molti più gradi di sfumature e può ottenere una maggiore gamma cromatica. Ciò perché sovrapponendo più velature può gradualmente giungere al tono che preferisce, mentre sovrapponendo velature di colore diverso può ottenere infinite gamme di colori intermedi. Per esempio, se stendo una velatura di rosso, in partenza ho sulla tela solo un rosa pallido: man mano che aggiungo altre velature ottengo gradualmente la tonalità di rosso che mi serve in quella zona del quadro, senza alcun rischio di imprecisione, ottenendo il tono che preferisco. Inoltre, se sovrappongo ad alcune velature di rosso, altre velature di giallo, posso man mano ottenere sulla tela una tonalità arancio che, magari, partendo direttamente dai pigmenti non sarei riuscito ad ottenere. Si comprende che, con la tecnica delle velature, un pittore può ottenere una quantità di colori e di toni infiniti, ampliando le sue potenzialità di rappresentare in maniera esatta il reale aspetto delle cose. L’unico «inconveniente», è che una pittura condotta per velature è molto lenta e laboriosa. Per completare un quadro, soprattutto se di grandi dimensioni, occorrono a volte anni. Per fare una buona velatura la pittura ad olio è fondamentale. Non solo: i colori ad olio risultano generalmente più brillanti e luminosi dei colori a tempera, dando alla superficie finale del quadro un aspetto più intenso e vivace.
Lo stile fiammingo
La pittura ad olio, con la tecnica delle velature, è stato uno dei punti di forza della pittura fiamminga, ma non è stato l’unico. Alla novità tecnica, si sono aggiunte altre novità più propriamente stilistiche: in particolare la precisione del dettaglio e la rappresentazione della luce.
Sul primo punto la pittura fiamminga non differisce molto da quella tardo gotica. Come quest’ultima, anche l’arte fiamminga è una pittura estremamente analitica: ogni singolo dettaglio viene analizzato e rappresentato compiutamente. Nella pittura fiamminga, anche grazie all’uso dei colori ad olio e delle velature, la rappresentazione del dettaglio è ancora più esasperata fino al limite delle possibilità tecniche.
Ma lì dove la pittura fiamminga ottiene i risultati più spettacolari ed interessanti, è sulla rappresentazione della luce. Si può dire che ora, per la prima volta, la luce fa il suo vero ingresso nell’arte pittorica. Fino a questo momento, può sembrare strano, era stata in realtà ignorata. I pittori, nel dare il colore agli oggetti e allo spazio, si comportavano come se la luce fosse ovunque, il che equivale a dire che era come se non ci fosse: nelle immagini la luce non proveniva da fonti determinate, non illuminava lo spazio in maniera differenziata, non creava zone di luce e di ombra. I pittori italiani che avevano perfezionato il chiaroscuro avevano utilizzato la luce per dare senso di tridimensionalità ai corpi, ma in fondo era un modo astratto e molto concettuale di pensare la luce.
I pittori fiamminghi analizzarono invece la luce con un’attenzione maggiore. Si resero conto che la luce ha sue qualità e proprietà, e che nell’illuminare gli oggetti crea immagini continuamente variabili. Nell’arte italiana la creazione dell’immagine avveniva generalmente in questo modo: costruisco, tramite il disegno, la forma che io «so» che hanno gli oggetti, coloro la forma con i colori che io «so» che quegli oggetti posseggono.
I pittori fiamminghi non fanno questo processo di decostruzione concettuale della forma e di sua ricostruzione razionale: vanno ad analizzare direttamente la percezione immediata della forma. Ed è qui che essi si rendono conto che la luce gioca un ruolo fondamentale e imprescindibile ad una corretta analisi dell’immagine. Per certi versi il loro è un atteggiamento molto moderno, che anticipa percorsi analoghi che, attraverso la pittura tonale veneziana e la pittura olandese del Seicento, giungono fino all’Impressionismo francese del XIX secolo.
L’analisi che i pittori fiamminghi effettuano sulla luce avviene grazie ad un espediente ben preciso: la pittura d’interni. Nei loro quadri la scena rappresentata avviene sempre in uno spazio chiuso ben delimitato: l’interno di un edificio architettonico. In uno spazio del genere la luce non può essere diffusa, ma deve provenire necessariamente da una o più finestre. In pratica, l’ambiente viene ad essere illuminato da una luce radente, e non uniforme, che proviene da un punto preciso. Da notare che la scelta di rappresentare scene d’interni è stata molto comune a tutta la pittura fiamminga e olandese anche nei secoli successivi. In situazioni del genere, la luce crea zone di maggiore illuminazione e zone d’ombra. Non solo: il suo modo di colpire ed illuminare gli oggetti è più intenso del normale chiaroscuro: crea zone di forte riflesso, per cui gli oggetti, qualsiasi colore hanno, in quel punto diventano inevitabilmente bianchi.
Tutte queste caratteristiche contribuiscono a dare alla pittura fiamminga un effetto che potremmo definire «fotografico»: in pratica riescono a dare alle immagini una sensazione di verosimiglianza del tutto inedito. Anche gli oggetti in lontananza all’orizzonte sono comunque messi a fuoco come il primo piano. Tale concezione deriva dalla filosofia nominalistica la quale sostiene che la sostanza della realtà proviene a noi attraverso i singoli oggetti percepiti.
Nella costruzione così precisa dell’immagine, i pittori fiamminghi giungono alle soglie della prospettiva, anche se in realtà non arrivano a comprenderne appieno i meccanismi ottici e le leggi geometriche. Tuttavia, nei loro quadri, seppure in maniera empirica, la costruzione dello spazio è quasi sempre precisa. Lì dove a volte cadono è su un errore molto banale, e diffuso in tutta la pittura tardo gotica coeva: non riescono a rendere congruo il punto di vista dello spazio con quello dei personaggi. In pratica, come sempre succede, lo spazio che contiene i personaggi è in genere rappresentato da un punto di vista «alto», mentre i personaggi, inseriti in quello spazio, sono in genere rappresentati da un punto di vista «basso». Ciò, per le leggi della prospettiva, è impossibile: l’immagine deve avere un solo punto di vista. Invece, nella pittura fiamminga e tardo gotica del periodo, questa duplicità di punti di vista crea spesso degli effetti di distorsione dell’immagine assolutamente inconfondibili.
Moschee e minareti: l'Islam
Moschea Istanbul

La lingua, la religione, l'arte degli arabi, ebbero nel mondo medievale una diffusione e una durata superiore a quella raggiunta dal latino e dalla romanita'. Gli artisti furono frenati nelle loro creazioni da una legge che nei luoghi sacri vietava la rappresentazione, non solo della divinita', ma di qualsiasi essere vivente. Essi percio' furono stimolati a ricercare motivi stilizzati e geometrici. Non sappiamo disgiungere l'idea dell'antico Egitto dall'immagine del faraone in trono, ne' quella della perfezione greca della statua di un atleta, ne' quella dell'arte cristiana dal soave volto di una Madonna china sul bambino, l'arte islamica ci trasporta invece in un astratto mondo di arabeschi che si dispiegano sui muri delle moschee e nei disegni dei tappeti, nei trafori geometrici delle pareti divisorie e nei motivi dipinti su mattonelle smaltate. Costruzione caratteristica dell'arte islamica fu la Moschea, luogo di culto, di preghiera e di adunanza della comunita'. Gli architetti arabi non amavano le superfici piane e gli spigoli vivi, ma forme tondeggianti sia nelle strutture, sia nelle decorazioni: una grande varieta' di archi si ripetevano e si intrecciavano, si arricchivano di motivi a ciondolo, a nido d'ape, a stalattiti.
BIBLIOGRAFIA
- R.Mortara,G. Ferrari, Crescere con l'arte
SITOGRAFIA
- "La nascita dell'arte italiana" https://medioevoca.wordpress.com/2015/03/07/la-nascita-dellarte-italiana/