Il mio pensiero sul nuovo allestimento del "Chini Museo"
Il Chini Museo rimasto “orfano”
L'identità e la specificità della cultura locale vanno tutelate
Spesso mi è stato chiesto da amici e conoscenti o visitatori che cosa pensassi del nuovo allestimento del “Museo Chini” di Borgo San Lorenzo, perdonatemi l’errore, “Chini Museo” (all’inglese!) – questo il nuovo nome del museo - desidero quindi rendere pubbliche le mie riflessioni, in primis come storica dell’arte, pittrice e poi anche come cittadina di Borgo San Lorenzo che da anni vive e studia il territorio e le molte testimonianze storico artistiche in esso contenute, col fine di valorizzarle e farle conoscere.
Ci sono luoghi che emanano un fascino particolare, e questo fascino si percepisce spesso nel Mugello, dove la sua storia trascorsa ci fa immaginare preziose atmosfere in molti ambienti dove le mani e la mente dei Chini sono passate.
Credo che l’attuale allestimento del museo, da un punto di vista museografico possa essere considerato un buon lavoro, mentre dal punto di vista museologico non si può dire altrettanto. Infatti, museografia e museologia pur riguardando entrambe l’istituzione museo si approcciano da differenti angolazioni: la prima riguarda per dirla in breve, l’ ambito pratico, operativo e architettonico dell’allestimento, mentre la seconda si occupa dell’istituzione museo sia dal punto di vista teorico che storico, tesa quindi alla ricerca soprattutto dell’essenza del museo.
L’allestimento museale del “Chini Museo” quindi, a mio parere, tende a valorizzare maggiormente le opere rispetto all’allestimento precedente, solo che, procedendo in questa direzione, cioè esponendo pochissimi pezzi della collezione, occorrerebbero almeno altre cinquanta stanze per rendere giustizia a quello che sono state le due manifatture chiniane.
Ritengo che la scelta di puntare secondo una strategia di marketing sul solo nome di Galileo non sia una scelta giusta per svariati motivi: innanzitutto in genere i musei monografici tendono a non funzionare e soprattutto per il fatto che non è stato creato un collegamento effettivo teso alla conoscenza degli autori e delle opere presenti sul territorio, alle quali hanno sicuramente dato il contributo maggiore non solo l’artista Galileo, ma soprattutto, Tito Chini e gli altri esponenti della manifattura.
Nel 1925 Tito ha infatti già rilevato la celebre manifattura portata all’apice del successo da Galileo, sperimentando tecniche sempre nuove, e da artista poliedrico, instancabile qual’era, ha contribuito a tenere alto il prestigioso marchio di famiglia confermandone l’eleganza e lo stile che si è evoluto e cambiato nel corso del tempo. Entrare nel “Chini Museo” e trovare solo pochissime opere di Tito, dislocate in un corridoio con la sola dicitura “Collaboratori della Manifattura” non rende giustizia a quello che è stato effettivamente il suo impegno dato che sin da giovanissimo collabora con le Fornaci San Lorenzo divenendo direttore artistico. E soprattutto, anche quando è direttore artistico Galileo, il generale Guglielmo Pecori Giraldi chiamerà proprio Tito a decorare e restaurare la villa di famiglia dal 1920 al 1922, sede del museo. Sarà sempre Tito a firmare la cappella annessa all’Asilo Infantile Grazioli Lante della Rovere alle Salaiole nel 1923 a soli 25 anni e pochissimi anni dopo darà avvio al palazzo comunale di Borgo San Lorenzo.

Particolare della Vetrata con Maria, Riccardo e Vincenzo Grazioli Lante della Rovere nella Cappella annessa all'Asilo Infantile del Poggiolo alle Salaiole, creazione, progettazione e decorazione dell'artista Tito Chini, il quale appone la sua firma in ben due punti, nell'atrio e all'interno della cappella con data 1923, quando ancora era direttore artistico Galileo Chini della Manifattura Chini dimostrando però Tito, già di lavorare autonomamente.

Tito Chini, San Lorenzo e San Martino nell'atrio del salone al primo piano che introduce alla Stanza degli "Uomini illustri" del Mugello nel Palazzo Comunale di Borgo San Lorenzo
Sotto una veduta della Stanza degli "Uomini illustri" del Mugello interamente progettata e decorata da Tito Chini

L’operato di Galileo è pregevolissimo ma le sue opere sul territorio si contano sulle dita, in confronto a quelle degli altri artisti della manifattura, considerando che furono una famiglia di generazioni di decoratori e restauratori. Inoltre durante gli ultimi venti anni di attività della manifattura Galileo si dedica a tutt’altro. Tito, invece, insieme al padre Chino e al fratello Augusto firma indipendentemente da Galileo copiose e importanti opere.
L’adesione di Tito allo stile Déco piuttosto che al Liberty deriva dalla sua curiosità verso le nuove tendenze artistiche e verso i nuovi linguaggi: egli predilige una ricerca formale fondata sulla semplicità e la chiarezza decorativa, uno stile più razionale, simmetrie e linee più geometriche, rispetto a quelle sinuose forme del Liberty segnando, più che una naturale prosecuzione, quasi l’antitesi. Sono notevoli i suoi tentativi per dare alla produzione della fabbrica una svolta nuova. Anche lui avrà numerose commissioni, al pari di Galileo Chini, non solo in Mugello: a Firenze, Viareggio, in Toscana, fino al complesso termale di Castrocaro, oltre che nel nord Italia a Bassano del Grappa, Schio, Pasubio dove tra l’altro Pecori Giraldi volle essere sepolto insieme ai suoi soldati nel Sacello Ossario affrescato sempre da Tito nel 1926.

Particolare dell'interno del Sacello Ossario sul Pasubio interamente affrescato da Tito Chini nel 1926 dove è sepolto - insieme ai caduti della Prima Armata secondo il suo volere - il Generale Guglielmo Pecori Giraldi

Tito Chini, decorazione del Sacrario di Schio

Tito Chini, particolare di una vetrata del soffitto e di un'anfora simbolica del pavimento del Padiglione delle Feste e nel complesso termale di Castrocaro Terme

Fortunatamente recenti mostre, aggiornate anche sugli studi degli ultimi anni, a Faenza, Castrocaro, Forlì, Reggio Emilia, in provincia di Pistoia hanno reso il giusto tributo non solo a Galileo ma anche a Tito Chini. Proprio perché le manifatture chiniane rivalutando l’artista artigiano, vedono il lavoro come frutto di un sapere collettivo in linea col movimento sociale ed estetico di “Arts and Crafs” il cui scopo era quello di portare la bellezza nella vita, in ogni arredo e decoro domestico, unita alla funzionalità attraverso un lavoro d’equipe, dove il lavoro di tutti era indispensabile: infatti, tanto le ricette chimiche di Chino, quanto i ruoli di direttori artistici di Galileo e di Tito, o quello di plasticatore di Augusto sono fondamentali per il successo della manifattura. Mostre importanti fuori zona, dunque, che segnano un doveroso riconoscimento per tutti i membri della fabbrica, mettendo in luce anche un artista di grande talento come Tito, per troppo tempo dimenticato, probabilmente perché appartenente al travagliato periodo del Ventennio fascista, giudicando il suo operato e anche quanto di buono artisticamente era stato fatto, con lo stesso metro con cui si misurava l’incapacità politica, bollando così erroneamente anche tutta l’arte del periodo. Poi avrà la sfortuna di morire giovane a 49 anni poco dopo le fine della seconda guerra mondiale.
Credo che in Italia stia crescendo la domanda di fare esperienze nei musei per conoscere meglio la storia, le radici di un territorio, l’identità di una comunità, ma anche per curiosare e rilassarsi. Tutti i musei possono rientrare nelle rotte turistiche, l’importante è che essi siano capaci di mantenere la relazione con il territorio. Il museo dovrebbe essere espressione della storia e della cultura del luogo non solo proponendo visivamente in mostra alcuni oggetti, ma diventando anche un luogo di esposizione, di studio, di ricerca, di educazione e soprattutto di tutela e valorizzazione dei beni legati al territorio, alla sua cultura e alla sua storia. Il museo dovrebbe essere espressione della comunità locale che rappresenta e offrire una porta di ingresso al territorio.
Credo che questo legame col territorio nel nuovo allestimento del “Chini Museo” manchi, non solo perché l’attuale collezione esposta è stata grandemente impoverita, (anche se, negli intenti degli organizzatori dovrebbero esserci in programma delle mostre temporanee, per proporre a rotazione le opere un tempo facenti parte della collezione) ma anche perché il visitatore non trova nessuna didascalia, biografia o informazione che lo inviti a conoscere il territorio, tranne un piccolo opuscolo distribuito all’ingresso del museo che non è assolutamente esaustivo.
Il museo dovrebbe essere l’ingresso privilegiato ad un territorio, il suo biglietto da visita, un luogo per conoscerlo e per comprenderlo.
L’esperienza museale dovrebbe essere considerata come parte di una esperienza più ampia, di relazione con altri luoghi del territorio per arrivare ad avere una prospettiva che non si limiti solamente ad una esperienza superficiale. L’esperienza in un museo dovrebbe arricchire il visitatore e il biglietto di ingresso dovrebbe servire ad introdurre alle altre proposte storiche o culturali presenti nel territorio creando una rete di relazioni.
L’unicità di un museo non dipende solo dagli oggetti esposti, ma soprattutto dalla sua storia, dagli obiettivi che si pone e dai servizi che offre con competenza.
La villa Pecori Giraldi è già di per sé un museo, il precedente allestimento prevedeva un percorso di visita all’interno della villa prima di accedere al museo, passando dalla sala degli stemmi, in quella del camino, per poi salire la bellissima scala elicoidale con le significative frasi sul soffitto del vano scale, e tutto ciò era già un introdurre nella sua storia e nei suoi artefici che l’hanno decorata, arricchita e restaurata, ma purtroppo questa è un’altra storia…
Due immagini dell'interno della storica Villa Pecori Giraldi con la Sala degli stemmi e la Scala elicoidale


Il patrimonio culturale è soggetto a tre concezioni, una intesa a tutelarlo e difenderlo per tramandarlo ai posteri, un’altra concezione che mette al centro il significato identitario legato alla comunità tesa alla sua valorizzazione, ed infine, la terza concezione si riferisce al valore economico del bene culturale. Il turismo culturale e la gestione dei musei e delle mostre sono gli aspetti più visibili della dimensione economica legata al patrimonio culturale. Ritengo che tutte queste tre dimensioni del patrimonio culturale abbiano una loro validità e legittimità, anche se è evidente il problema del loro rapporto reciproco per non incorrere in probabili collisioni e contraddizioni, a seconda che si cerchi di privilegiare l’una piuttosto che l’altra concezione. Queste tre dimensioni del patrimonio culturale possono infatti degenerare, soprattutto se considerate unilateralmente, senza tener conto delle altre due.
Ad esempio assumere la sola dimensione economica come prevalente, nel guidare le scelte della politica dei beni culturali e della gestione delle loro strutture può portare come conseguenza il rischio dell’impoverimento dello stesso patrimonio.
Credo che solo uscendo da una logica basata sull’esclusività dei propri pensieri, si possa riuscire a promuovere la cultura e la collaborazione fra tutti coloro che, a vario titolo e con ruoli diversi, operano nel campo della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale.
(Articolo di Elisa Marianini Aprile 2019)
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